Esistono persone, per fortuna, che non danno peso al pregiudizio e non seguono la massa. Persone che si contraddistinguono perché altruiste. Persone che utilizzano il loro tempo libero per fare qualcosa di buono per il prossimo. Ed in questo caso, il prossimo bisognoso non è uno qualunque, ma un migrante che viene dalla Bosnia ed è diretto a Trieste, per spingersi poi verso zone più ospitali del nord Europa.
Proprio per un gesto di umanità e di solidarietà, un gruppo di circa dieci persone, il “Gruppo cura”, si incontra due volte a settimana nel piazzale della stazione di Trieste per aiutare i migranti che per numerosi giorni hanno camminato a piedi per passare il confine, attraversando boschi, fiumi e rocce. In questo piazzale, poi, si prendono cura dei piedi feriti e doloranti, spesso infettati, che hanno camminato a lungo, senza sosta e senza un minimo sostegno. Ma non fanno solo questo: si prendono certamente cura del corpo di queste persone, ma anche dello spirito. Offrono beni di prima necessità, quali cibo, bevande, indumenti puliti, coperte e scarpe; ma offrono anche attenzione alle persone che hanno di fronte, gesti, parole, sostegno e comprensione, per cercare di restituire loro un briciolo di quella dignità andata persa nel corso del cammino.
Queste persone non si definiscono un gruppo di benefattori, poiché tale etichetta li porterebbe ad essere visti come complici del sistema e loro vogliono, piuttosto, smuoverlo questo sistema rigido e fermo, mostrare che è possibile agire anche con piccoli gesti quotidiani, che un piccolo gruppo può effettivamente fare qualcosa per cambiare e migliorare la situazione, consapevoli che prima o poi uno scontro col sistema stesso sarà inevitabile, ma comunque convinti delle loro azioni e fiduciosi che il loro buon esempio venga accolto ed emulato.
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