“Non volevamo trasformare il mondo, ma dare il nostro contributo perché le cose cambiassero”: così è nata la cooperativa Utopia di Milazzo, nella volontà di fare un “lavoro di servizio” al territorio. Prendendosi cura della dignità degli operatori, favorendo l’integrazione di chi è ai margini, incontrando i “giovani dell’agio”, facilitando l’incontro con i migranti attraverso l’accoglienza ed il riconoscimento dei diritti di cittadinanza.
Raccontare una storia non è mai facile. È ancor più difficile quando si tratta di una storia collettiva, per di più intrecciata con quella di tante altre persone che abbiamo incontrato in questi trent’anni e che in molti casi hanno lasciato una traccia indelebile dentro di noi ed hanno contribuito a tracciare il nostro cammino.
Pur tuttavia la nostra è una storia normale anche se certamente diversa da tante altre che abbiamo conosciuto ed incrociato in questo tempo.
Siamo nati nel 1984 a Milazzo e sin dall’inizio segnammo una differenza: non nascevamo infatti perché qualcuno ce lo aveva proposto o imposto con il ricatto di qualche promessa interessata, come avviene spesso ancora oggi nelle nostre terre del sud ad opera di uomini politici o affaristi di turno; noi al contrario volevamo un lavoro che fosse il più vicino alle nostre aspettative, ma che fosse anche un lavoro di “servizio” al nostro territorio; non volevamo cambiare il mondo, ma sicuramente partecipare al cambiamento, dare il nostro contributo perché le cose cambiassero.
Ed in effetti anche il nostro “esserci scelti” era già fortemente segnato dalle nostre “provenienze” personali e collettive; le nostre esperienze nel volontariato laico e cattolico e nel mondo dell’associazionismo educativo, di impegno sociale e politico nei movimenti pacifisti e nei collettivi femministi, fecero sì che presto si coagulassero sogni e desideri nel percorso della cooperativa Utopia che si avviava in un territorio non facile e che nulla ci avrebbe mai regalato anche negli anni futuri.
Iniziammo a guardarci attorno ed a maturare una visione critica della realtà che ci circondava con le sue carenze e le sue assenze.
Fu anche per questo che le nostre piccole e concrete “utopie”, i servizi che abbiamo avviato, quelli che abbiamo inventato o contribuito a creare e a progettare, hanno sempre avuto il carattere della novità, della innovatività.
Iniziammo la nostra attività in forma autogestita nel settore dei minori (centri vacanza), sensibilizzando ed intrecciando, subito dopo, rapporti di convenzione con il Comune di Milazzo e con gli altri Enti locali del comprensorio per la gestione di asili nido, servizi per l’assistenza domiciliare agli anziani ed ai portatori di handicap.
A partire dal 1990 avviammo azioni nel settore della formazione professionale degli animatori sociali e degli educatori professionali, figure di operatori sociali la cui formazione era pressoché assente nel nostro territorio.
Successivamente ci impegnammo, per conto di diversi Enti locali, nella progettazione e nella gestione di progetti di prevenzione del disagio giovanile.
L’incontro con il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) avvenne nel 1994. Era una esperienza che alcuni di noi conoscevano per aver letto documenti e pubblicazioni e verso cui serbavano grande interesse ed ammirazione.
I primi contatti furono del tutto fortuiti, allora la federazione non aveva ancora un’area regionale organizzata, ma di lì a poco il CNCA avviò una serie di iniziative mirate a promuovere la presenza e la operatività della federazione in Sicilia e la nostra cooperativa aderì subito.
E fu un incontro di quelli importanti, destinati a cambiare tante cose nella vita del nostro gruppo ed a potenziare e dare spessore sociale e politico al nostro agire quotidiano.
Ma se l’innovatività potrebbe essere una caratteristica che ci ha contraddistinto nel tempo, altre quattro dimensioni possono in un certo senso significare il nostro percorso.
Le ricordiamo qui non perché pensiamo che siano particolarmente originali, ma perché nella nostra esperienza, ancor più che nella nostra realtà territoriale (fortemente deprivata e arretrata anche dal punto di vista della cultura e della organizzazione del sociale) hanno avuto un notevole significato.
La prima dimensione è quella che potremmo definire del “prendersi cura di chi si prende cura” e quindi della difesa del ruolo e della professionalità degli operatori.
Muoversi in questa direzione per noi ha voluto dire battersi per il riconoscimento della pari dignità tra operatori del privato sociale e del pubblico; è una battaglia ancora aperta che sconta ritardi veramente incredibili. Basti pensare che siamo costantemente costretti a ribadire concetti e “diritti” dei lavoratori ormai assolutamente acquisiti altrove, come quello di vedere pagate le spettanze alla cooperativa, da parte degli Enti locali convenzionati, con regolarità e puntualità.
È ancora molto diffusa la percezione, da parte dei cittadini in genere, dei lavoratori delle cooperative sociali come lavoratori di infima serie e delle cooperative a cui appartengono come enti sorti per drenare risorse dai bilanci pubblici. Così come è ancora molto presente nei responsabili politici la rappresentazione sociale dei volontari come esseri buoni e generosi contrapposti spesso ai cooperatori come persone che vivono “sulle disgrazie altrui”; percezione che alimenta quasi un conflitto, a volte latente, a volte più esplicito, che non ha alcun motivo di esistere e nessuna ragione logica.
In un contesto simile le nostre storie di professionisti che hanno sempre provato a mettere nella esperienza di lavoro un livello alto di coinvolgimento personale e professionale, si sono impoverite negli anni di tante “belle” e importanti presenze che ci hanno lasciato per cercare un lavoro più stabile e meno precario al nord.
La seconda dimensione che ha caratterizzato il nostro percorso in questi anni più recenti è l’attenzione alla progettazione di interventi sociali finalizzati alla piena inclusione sociale di persone che vivono nella marginalità e che, attraverso una serie integrata di azioni, provano ad uscire dal circolo vizioso dell’assistenzialismo.
È l’esperienza della cooperativa di tipo B “Settima Stella” che, nata nel 2001 dalla coop. Utopia, è stata una piccola ma autentica realtà di inserimento lavorativo per portatori di disagio psichico e tossicodipendenti.
La terza dimensione che caratterizza la nostra esperienza è più legata allo “sviluppo di comunità” ed al lavoro con i “giovani dell’agio”. È per noi una prospettiva del futuro, di una lettura della società che vedrà moltiplicarsi anche al sud la lista dei soggetti attivi che hanno voce o a cui restituire voce. Ciò impone a noi, ed a tutti i decisori politici, di porre attenzione e cura nella costruzione di “reti virtuose” e di alleanze efficaci. È la dimensione di un lavoro anche con i giovani che li veda coinvolti pienamente nei processi di decisione e nella costruzione di percorsi nuovi di protagonismo e di cittadinanza attiva.
La quarta dimensione è quella legata all’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e delle persone migranti in genere. La abbiamo incrociata sul nostro cammino con l’Emergenza Nord Africa del 2011 quando abbiamo risposto affermativamente ad un appello del Governo che chiedeva diponibilità ai Comuni ed agli enti del terzo settore.
Da allora è stato un susseguirsi di esperienze che stanno modificando molto nel nostro modo di essere. Scopriamo mondi sconosciuti, culture e persone che ci interrogano nel quotidiano, che ci chiamano ad una assunzione di responsabilità piena.
Attorno all’accoglienza nostra proviamo a costruire sensibilità nel territorio per rendere veramente possibile il sogno di tante persone di ri-trovarsi in un luogo dove sia possibile esercitare pienamente il diritto ad una vita dignitosa.
Oggi ci piace pensare che sarebbe bello ritrovarci, magari tra dieci anni, a guardare indietro e scorgere questa nuova “utopia” come un altro piccolo passo compiuto nella direzione di una società più giusta.
Oggi ci piace pensare che sarebbe bello ritrovarci, magari tra dieci anni, a guardare indietro e scorgere questa nuova “utopia” come un altro piccolo passo compiuto nella direzione di una società più giusta.