La lingua materna in cui siamo nati e abbiamo imparato a orientarci nel mondo non è un guanto, uno strumento usa e getta. Essa innerva la nostra vita psicologica, i nostri ricordi, associazioni, schemi mentali…
Tullio De Mauro
Il 20 novembre 1989 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York approvò il primo trattato giuridicamente vincolante sui diritti dell’infanzia. In Italia il provvedimento fu ratificato due anni dopo, il 27 maggio 1991 con la legge n. 176. La Convenzione ONU si compone di 54 articoli e il suo testo è diviso in tre parti: enunciazione dei diritti (artt. da 1 a 41), organismi preposti e le modalità per il miglioramento e il monitoraggio (artt. 42-45), procedura di ratifica (artt. 46-54).
I punti dell’Articolo 28 affermano:
- Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione, e in particolare, al fine di garantire l’esercizio di tale diritto in misura sempre maggiore e in base all’uguaglianza delle possibilità: a) rendono l’insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti; b) incoraggiano l’organizzazione di varie forme di insegnamento secondario sia generale che professionale, che saranno aperte e accessibili a ogni fanciullo, e adottano misure adeguate come la gratuità dell’insegnamento e l’offerta di una sovvenzione finanziaria in caso di necessità; c) garantiscono a tutti l’accesso all’insegnamento superiore con ogni mezzo appropriato, in funzione delle capacità di ognuno; d) fanno in modo che l’informazione e l’orientamento scolastico e professionale siano aperte e accessibili a ogni fanciullo; e) adottano misure per promuovere la regolarità della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono della scuola.
- Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento per vigilare affinché la disciplina scolastica sia applicata in maniera compatibile con la dignità del fanciullo in quanto essere umano e in conformità con la presente Convenzione.
- Gli Stati parti favoriscono e incoraggiano la cooperazione internazionale nel settore dell’educazione, in vista soprattutto di contribuire a eliminare l’ignoranza e l’analfabetismo nel mondo e facilitare l’accesso alle conoscenze scientifiche e tecniche e ai metodi di insegnamento moderni. A tal fine, si tiene conto in particolare delle necessità dei paesi in via di sviluppo.
Graziella Favaro ha scritto: ‘Perché le parole della nuova lingua trovino posto accanto a quelle della lingua materna, è necessario che il clima nel quale si sviluppa l’apprendimento della L2 sia di apertura, curiosità reciproca, riconoscimento di una storia che ha radici altrove e che ha sedimentato saperi, competenze, parole. Per fare in modo che la storia di ciascuno possa continuare e comporsi in un’identità, anche linguistica, complessa e meticcia1 ’. Parafrasando A. Meddeb, per gli alunni migranti la lingua italiana (L2) dovrebbe essere un fiume che scorre, mentre la lingua madre (L1) dovrebbe essere il letto di quel fiume: immobile, sul quale si infrangono le onde fluenti dell’italiano.
In questo periodo pandemico la Scuola (come Istituzione e nella figura dei docenti e dei Dirigenti di tutti i livelli) in Italia, si è realmente premurata per garantire misure per promuovere la regolarità della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono della scuola? E se ne è, realmente, premurata prima?
Le persone che lavorano nella scuola fanno un lavoro di cura, gli insegnanti dovrebbero avere una delle soglie di attenzione più alta di tutte, perché il loro mestiere richiede un ascolto perpetuo. Gli alunni e le alunne migranti, spesso, si trovano in una situazione di apprendimento che riserva vari ostacoli, per la mancanza di risorse e dispositivi e soprattutto per la loro competenza linguistica in via d’acquisizione. Il silenzio dell’alunno o dell’alunna migrante che vive immerso/a nel bilinguismo, (scuola totalmente italofona e famiglia che si esprime unicamente nella lingua madre) non va interpretato come sintomo di svogliatezza, disattenzione o menefreghismo. Dopo sei mesi, può capitare che il discente non dica una parola di italiano. C’è una bella differenza fra comprensione e produzione. Valutare le competenze significa considerare le abilità nel contesto.
Inoltre, capita spesso che in Italia si formino classi che non rispettano certe prerogative utili all’obiettivo pedagogico. Per esempio, all’interno delle classi non dovrebbero esserci più del 30% di alunni stranieri. Essendo però la distribuzione sul territorio cittadino non uniforme, si formano classi in deroga rispetto alla legge. O ancora, la via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (2007) è fondata su dieci linee guida, una è: non si mettono bambini più grandi in classi di età inferiore. È un principio educativo, bisogna rispettare l’età anagrafica. Un discente deve stare con i suoi pari, altrimenti è possibile che si crei un bullo in ritardo scolastico. Il buon insegnante è il “ripetente”, perché la lingua si impara per processo imitativo! Non ritardando il percorso scolastico! Se l’Istituzione amministrativa decide di non tenere conto di questo principio pedagogico, è fondamentale istruire gli insegnanti sulle strategie da adottare per svolgere nel migliore dei modi il proprio compito.
Le lezioni online minano le relazioni già compromesse in presenza fisica, non i percorsi formativi di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, che potevano contare già su un’ottima pedagogia interculturale. È già in atto la mutazione antropologica per cui le nuove generazioni considerano lo smartphone un prolungamento della propria mano. Lo scandalo a cui gridare è un altro: è l’inadeguatezza di molte frange docenti, dirigenziali, amministrative, difronte a tale mutazione e la non obbligatorietà di piani oculati, indipendenti e creativi, per essere al passo con l’immaginario scolastico della nostra società. Una società che non può escludere le comunità dei migranti o limitarsi a fornire tablet e pc.
1 Italiano Lingua Due, n. 1. 2012. G. Favaro, Parole, lingue e alfabeti nella classe multiculturale.
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