Nell’ultimo decennio lo sviluppo della rete ci ha dato l’opportunità di accrescere la nostra cerchia di contatti e conoscenze. Chi non ha una coppia di amici che si è conosciuta utilizzando Tinder, Meetic, Facebook, Telegram o Twitter? Si inizia con lo scambiarsi messaggi ed e-mail e, magari, quando ci si trova in sintonia, cresce il desiderio di vedersi, incontrarsi, avvicinarsi: perché non scambiarsi delle foto, magari sexy?
Talvolta, anzi, sono le coppie stabili che, per vivere o ravvivare la loro vita sessuale, decidono di girare dei piccoli video o scattarsi delle foto, anche mentre fanno l’amore: ce ne dà un esempio la commedia “Sex Tape – Finiti in rete” del 2014, in cui Cameron Diaz e Jason Segel replicano le posizioni del Kamasutra, finendo però, a loro insaputa, su internet.
Dobbiamo, tuttavia, essere consapevoli che questa stessa tecnologia che ci avvicina tutti e tutte, ci espone anche al rischio che la nostra sfera più intima e privata venga violata e resa pubblica. La violenza contro le donne (fisica, economica o psicologica) oramai non è agita solo direttamente: la violenza spesso è anche virtuale, consumata online. Sì, gli atti di violenza possono avvenire proprio tramite l’uso della rete.
Una delle più diffuse forme di violenza maschile contro le donne è il cosiddetto Revenge porn. Revenge porn significa, semplicemente, “vendetta porno” (o “ porno – vendetta ”) e consiste proprio nella diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.
Si parla di vendetta poiché in genere questa condotta viene seguita al termine di una relazione sentimentale, appunto con l’intento di punire l’ex partner, o successivamente ad un rapporto sessuale occasionale della quale viene utilizzata la prova multimediale per potersi vantare col gruppo dei pari. La caratteristica peculiare di questo comportamento lesivo è non solo la pubblicazione e condivisione di materiale sessualmente esplicito, ma la diffusione su piattaforme dove potenzialmente altre migliaia di persone possono visionare e condividere a loro volta il materiale ricevuto.
Nel 2019 con la Legge n° 69 sulla Tutela delle vittime di violenza domestica e di genere denominata “Codice Rosso”, è stato introdotto l’art. 612 ter del codice penale che punisce chi, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde video o immagini a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati, senza il consenso della vittima.
Il Revenge porn consiste quindi nella pubblicazione o nella minaccia di pubblicazione (anche con finalità estorsive), di immagini, fotografie o video che mostrano persone impegnate in attività sessuali o ritratte in pose sessualmente esplicite, senza che ne sia stato dato il consenso dalla diretta interessata. L’acquisizione del materiale può avvenire sia attraverso azioni che sottendono il consenso della vittima, come ad esempio tramite la pratica del Sexting, cioè l’invio consapevole di foto e video da parte della vittima o durante un atto sessuale o in comportamenti attinenti alla sfera sessuale; ma avviene anche senza che la vittima possa dare il suo consenso, come ad esempio, attraverso l’utilizzo di attrezzatura nascosta che riprende l’atto sessuale o gli atteggiamenti sessualizzati messi in atto, o anche con l’intrusione illecita in account, hackerando i dispositivi della vittima.
Di recente la Polizia Postale ha diramato un allarme rispetto all’aumento di queste condotte, probabilmente perché nella società contemporanea ormai disponiamo sempre più del web e per questo tale elemento viene maggiormente utilizzato anche per commettere fattispecie di reati. Sul sito della Polizia Postale e delle Comunicazioni, qui di seguito riportato e che vi invitiamo a consultare, potete trovare un prezioso aiuto nella prevenzione di questi comportamenti: https://www.commissariatodips.it
Come potrete verificare, di fatto l’unico modo per difendersi efficacemente dal Revenge Porn, è evitare del tutto l’invio di immagini o video di contenuti intimi, ricordando che, qualora i soggetti coinvolti siano minori, sussistono fattispecie di pornografia minorile. Ma tale invito è alla stregua del consiglio di non avere relazioni per timore di essere maltrattate, di non uscire di notte per il rischio di essere violentante e così via. Il problema purtroppo non è nel comportamento di chi invia materiale, ma l’atteggiamento che assume chi lo riceve e ne dispone senza alcun riserbo.
Nel caso in cui si sia vittime di una di queste condotte, è importante denunciare immediatamente alla Polizia (in particolare alla Polizia Postale e delle Comunicazioni) quanto subìto, poiché solo un intervento tempestivo può evitare l’ulteriore divulgazione delle foto o del video.
Al di là della questione puramente giuridica, parliamo di una violenza di genere: sono azioni che vanno a ledere la dignità di un genere specifico, le donne: si tratta di un comportamento messo in atto da uomini e che va a danno delle donne, le loro scelte, il loro essere.
Vogliamo qui portare una riflessione più ampia legata alla considerazione del corpo delle donne, ancora una volta pensato come un oggetto di desiderio sessuale. Il consenso è nuovamente un dato che non interessa a chi lo agisce, non è contemplato. Il corpo delle donne è nuovamente alla mercè di chiunque ne voglia – letteralmente – godere. Tanto ha a che fare con la nostra concezione di sessualità, sulla frequente omissione del piacere femminile e, non ultima, della non ancora scontata libertà delle donne stesse.
Ascoltando, anche, alcuni uomini che ne hanno parlato dopo la scoperta del gruppo Telegram (https://www.wired.it/internet/web/2020/04/03/revenge-porn-network-telegram/), ci si scopre disgustati e stupiti, eppure fa riflettere che decine di migliaia di uomini ne facessero parte, fossero complici attivi o “solo” riceventi e osservatori. Si continua ad avere l’impressione che i fatti vengano a galla come se non fossero immaginabili, come se nessuno se lo aspettasse. Sembra un fatto recente, ma in realtà siamo di fronte ad una trasformazione o, se vogliamo, un adattamento agli strumenti online della violenza contro le donne, di quel tentativo costante di controllare le donne e di dominarle, di punirle laddove abbiano mostrato una qualsivoglia tipologia di emancipazione. È qui che sbagliamo, siamo troppo abituati e abituate a vedere tutto come un fattore eccezionale, come un comportamento violento che viene agito da pochi uomini, brutti e cattivi. Siamo sempre alla ricerca del mostro.
Ed ecco scopriamo che, di nuovo, non è così e non lo è mai stato.
Scopriamo ancora che le donne libere non sono ancora contemplate nella quotidianità della nostra società, che se una donna viene stuprata è perché troppo poco coperta, se una moglie viene picchiata è perché troppo insolente, se una ragazza viene insultata è perché poco tollerante, se una donna dice no è per frigidità o ritrosia e se non dice no è come se avesse detto sì, se una ex partner viene seguita è perché troppo indipendente, se una donna è vittima di Revenge Porn avrebbe potuto evitare di filmarsi o fotografarsi.
Culturalmente a noi donne è sempre stato detto come è opportuno comportarci e come possiamo evitare di incorrere di essere vittime di violenza. Proviamo a ribaltare questa visione, proviamo a creare una coscienza collettiva negli uomini, tutti gli uomini, non solo quelli che la violenza o il potere lo agiscono, ma anche quelli che ne sono spettatori o che, semplicemente, sanno di essere portatori di un privilegio e non sono disposti a metterlo in discussione.
È tempo, adesso più che mai, di proporre una critica a tutto un sistema patriarcale talmente tanto attuale che fa ancora paura nominarlo. C’è ancora timore nel parlare di femminismo, di libertà sessuale delle donne, di autodeterminazione. C’è sempre qualcuno che ci zittisce o che vuole cambiarci. Non c’è ancora un reale riconoscimento delle donne come soggetti di diritto e questo, ahinoi, lo possiamo riscontrare nella quotidianità.
Anche il Revenge Porn fa parte di un panorama nel quale un uomo si sente in diritto, consciamente o inconsciamente, di decidere sul corpo e quindi sulla vita di una donna. E non si tratta di voler dividere o contrapporre, si tratta di avere a che fare con la questione di genere, con quella cultura maschilista nella quale siamo tutte e tutti cresciuti, che abbiamo introiettato, ma che ancora troppo poco è stata criticata.
Vi invitiamo a vedere il video di Venti “Foto di tette” nel quale, parlando proprio di Revenge Porn, sostanzialmente un uomo fa autocoscienza e si ‘confessa’. Ci ha fatto riflettere molto perché ancora oggi sembra incredibile che un uomo possa parlare così limpidamente della responsabilità collettiva nei confronti della violenza sulle donne.
Ci appelliamo a voi che ci leggete, cerchiamo nel nostro piccolo quotidiano di non tollerare più quelle piccole grandi forme di violenza sulle donne delle quali spesso siamo testimoni silenziose e silenziosi. Prendiamo posizione.
Come diceva Bob Marley “Stand up for your rights” e aggiungiamo noi anche quelli delle altre.
Le operatrici dei Centri Antiviolenza di On the Road
Foto di Retha Ferguson
L’articolo Cosa c’è da sapere sul Revenge Porn proviene da On The Road Cooperativa Sociale.