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“Luci su Rosarno”, la storia di Ibrahim Diabate, vince il premio della giuria tecnica di “Oltre il ghetto”

“Luci su Rosarno”, la storia di Ibrahim Diabate, vince il premio della giuria tecnica di “Oltre il ghetto”

“Luci su Rosarno”, la storia di Ibrahim Diabate candidata da Mediterranean Hope – progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), attivo sull’accoglienza e i diritti dei migranti – ha vinto il premio della giuria tecnica del contest “Oltre il ghetto. Storie di libertà”, indetto nell’ambito del progetto Su.Pr.Eme. Italia e rivolto alle organizzazioni del pubblico e del privato sociale che si occupano di emersione dal caporalato in Puglia, Campania, Calabria, Basilicata e Sicilia.

Dal 2019 Ibrahim lavora come mediatore per Mediterranean Hope ed è impegnato ogni giorno per trovare una soluzione ai bisogni dei migranti che vivono nei casolari e lavorano nei campi della piana di Gioia Tauro.

“Luci su Rosarno”, che dà il titolo alla sua storia, è il nome del progetto da lui ideato insieme a Francesco Piobbichi per illuminare tutte le strade della piana evitando incidenti ai braccianti che si muovono in bici e fare luce, al tempo stesso, sui diritti dei lavoratori in agricoltura. Le luci sono reali e simboliche perché – spiega Ibrahim – per migliorare la vita dei braccianti e rompere la condizione di sfruttamento va cambiato l’ordine delle cose.

E le lotte di tutti questi anni “fanno sperare che qualcosa possa davvero cambiare”, dice Ibrahim nel minidoc che racconta la sua storia.

Ibrahim Diabate è arrivato in Italia nel 2008 dalla Costa d’Avorio. Il suo non è stato il tragitto terribile e purtroppo diventato consueto dei migranti che arrivano sulle nostre coste dopo essere stati in Libia e aver attraversato il Mediterraneo. Ibrahim arriva a Fiumicino, con un regolare visto. In Costa d’Avorio era attivista e ha fatto più lavori: è stato agricoltore, commerciante, professore. Giunto in Italia, si trasferisce a Treviso dove lavora per un’azienda agricola che all’improvviso fallisce. Dopo un breve periodo a Roma, va a Saluzzo, in Piemonte, dove raccoglie frutta a nero. Impegnato nel comitato “Saluzzo anti-razzista”, si trasferisce a Rosarno subito dopo la rivolta dei braccianti migranti contro lo sfruttamento e la violenza della ‘ndrangheta e dei caporali. “Meglio andare dove mancano tutti i servizi”, dice Ibrahim.

Nella piana di Gioia Tauro contribuisce alla nascita di SOS Rosarno, lotta per difendere i diritti dei braccianti e dei piccoli agricoltori, perché sono entrambi “tra l’incudine e il martello della grande distribuzione”, racconta Ibrahim. Oggi SOS Rosarno è un’associazione impegnata in un’agricoltura rispettosa della natura e dei diritti dei lavoratori e sempre più diffusa nella rete dei gruppi di acquisto solidali (GAS).

“Continuiamo a pagare i braccianti con la paga giusta, con le ore di lavoro giuste e con la possibilità di poter avere la disoccupazione. Più andiamo avanti più assumiamo braccianti per poter rispondere ai problemi del territorio. È un fatto sociale. Non è facile. Ma noi crediamo in quello che abbiamo iniziato e vogliamo portarlo avanti fino alla fine”.

E ora il progetto “Luci su Rosarno” con Mediterranean Hope. “Siamo degli invisibili. Esistiamo solo quando qualcuno ha bisogno di noi per la raccolta delle arance e dei kiwi”, osserva con amarezza Ibrahim, che ha trovato nella poesia il modo per raccontare il mondo bracciantile e alle sue esperienze di sfruttamento agricolo ha dedicato il libro “Yen Fehi, Bako. Canti di lotta e di amore”.

“La mia è una poesia di denuncia, una poesia civile. Parlo di quello che osservo, della realtà di questi luoghi” in cui, dice Ibrahim, “resterò per dare una mano fino all’ultimo giorno di vita che avrò. Se un giorno dovessi abbandonare il territorio, mi sentirei un colpevole. Dobbiamo essere un giorno felici del lavoro fatto nel territorio, fieri di noi e dire alle nuove generazioni: avete ottenuto questo grazie al lavoro che abbiamo fatto noi, grazie alla lotta che abbiamo portato avanti fino al termine. Non sono un sindacalista, sono un attivista”.

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